Questo è il primo di una serie di articoli in collaborazione con la pagina Instagram @calcio.con.la.f.maiuscola . Questi articoli sono stati creati, per iniziare a guardare il calcio femminile con occhi diversi, entrando in mondi sconosciuti per scoprire più a fondo il cal femminile.
La storia
In America il calcio femminile si sviluppò in modo più uniforme e completo rispetto all’Europa, soprattutto perché riuscì a battere sul tempo il calcio maschile e a trarre benefici nel modo più efficace che si possa immaginare, con le leggi.
Infatti nel 1972 fu scritto il Title IX, una legge che recitava così:
“Nessuna persona negli USA deve, sulla base del sesso, essere esclusa dalla partecipazione o subire discriminazioni in ciascuno dei programmi o delle attività che ricevono finanziamenti federali.”
Questo titolo riguardava molte delle attività sportive liceali e universitarie (tutte attività gestite con fondi federali in America). La promotrice, la democratica Edith Green, membro della camera di rappresentanti per lo stato dell’Oregon, volle mantenere il titolo così vago proprio per attrarre meno attenzioni possibili anche dai colleghi del congresso. Secondo alcune fonti (The National Team, Caitlin Murray) Green vietò anche la sua promozione in modo da non suscitare domande e problemi che avrebbero potuto intralciare l’approvazione. Quindi il titolo entrò in vigore senza problemi, garantendo parità di accesso alle attività sportive a tutti.
Dopo il Title IX fu garantita la stessa quota di budget per tutti, e questo attirò coach più preparati e migliorò le strutture e le condizioni di allenamento. Prima del titolo le calciatrici nelle scuole erano solo in 700, ma vent’anni dopo, negli anni Novanta, diventeranno 121.722; e nel 2018 (secondo degli studi) sarebbero 390.482, numeri che garantiscono una miniera d’oro infinita da cui pescare grandi talenti.
Negli anni Ottanta, mentre il mondo arrancava e cercava di capire le vere potenzialità del calcio femminile, in America già si formavano le prime leghe professionistiche, e già in questo periodo si contavano una decina di squadre regionali e una sorta di nazionale. La prima vera competizione a cui partecipò questa squadra nazionale fu il National Sport Festival di Baton Rouge, Louisiana, un torneo amatoriale multidisciplinare organizzato nell’estate dell’ 85 per cui la federazione incaricò Mike Ryan (metallurgico che già allenava una delle squadre regionali americane) di selezionare le migliori 17 ragazze del paese che avrebbero partecipato anche ad un torneo internazionale in Italia qualche mese dopo.
Fu così che all’Armando Picchi di Jesolo la US Women’s National Team giocò la sua prima partita ufficiale nel Mundialito. L’impatto in quel torneo fu difficile: le americane non avevano mai giocato tornei con premi e contro colleghe straniere, persero tre partite su quattro ma l’impatto mediatico con il calcio femminile americano in generale fu enorme.
Nel 1991 la FIFA organizzò il primo mondiale femminile a 12 squadre con una durata inferiore ai 90’ minuti classici del calcio maschile: gli Stati Uniti dopo essersi rafforzati vinsero il torneo nell’indifferenza genarle, considerato che non fu né trasmesso da nessuna emittente televisiva e non furono fatte trapelare molte notizie. In quella squadra giocavano giocatrici del calibro di Mia Hamm e Michelle Akers, probabilmente fra le più grandi giocatrici della storia del calcio femminile americano e le prime a firmare con uno sponsor, ricordiamo per esempio il primo contratto di sponsorizzazione Nike firmato da Mia Hamm.
Insomma, nonostante la volontà (immotivata o meno, non sta a noi deciderlo) dei Mass Media di glissare la maggior parte dei trionfi e delle vittorie del calcio femminile americano, questo mondiale fu la chiave di volta dello sviluppo del calcio femminile in Ameria e nel mondo: da lì, a passi di bambino, il calcio femminile americano è diventato quello di oggi, quello che vende più maglie Nike rispetto alla nazionale maschile, e quello tanto bramato e ambito da tutte le nazionali europee.
Di Marco Villani e Giada Morena
Photo credit: U.S. soccer, Getty Immages, @frankmSounders
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